La Betissa e Bucherer l’orologiaio per completare la trilogia della collana Declaro di Kurumuny Edizioni dedicata alla ripubblicazione dell’opera di Antonio L. Verri. Sono in libreria i due volumi che, insieme a Il pane sotto la neve compongono la collana diretta da Simone Giorgino e dedicata alla ripubblicazione dell’opera di uno dei protagonisti indiscussi dello scenario culturale salentino del secondo Novecento. La Betissa. Storia composita dell’uomo dei curli e di una grassa signora, pubblicata per la prima volta nel 1987, è una disperata favola a tinte fosche, un allucinato viaggio nell’inconscio e nel linguaggio che rappresenta una svolta decisiva nella ricerca espressiva dello scrittore salentino. Scritta tra Santa Cesarea e Castro tra l’agosto e l’ottobre del 1986, rappresenta per molti aspetti il lavoro poetico più maturo e compiuto di Antonio Verri.  Pubblicata per la prima volta qualche mese dopo, nell’anno successivo, è una disperata favola a tinte fosche, un allucinato viaggio nell’inconscio e nel linguaggio che rappresenta una svolta decisiva nella ricerca espressiva di Antonio Verri, ora concentrata a indagare ossessivamente le relazioni che intercorrono fra le parole e le cose, fra il mondo e il libro che tenta di ricrearlo, in uno sforzo costante di trascrizione di quella varietà cosmica e disarmonica in un’opera chiusa, conclusiva e allo stesso tempo sempre in progress, aperta, sfuggente. Scrive Fabio Tolledi nella sua presentazione al volume: «Nella Betissa il riferimento al teatro non deve fare pensare a una dimensione realistica, dove trama e personaggi alimentano un piano narrativo naturalistico. Semmai la spinta surreale e iper-reale trova linfa proprio nella moltiplicazione dei piani che muove dal meccanismo teatrale. Lì, nell’ambiguità dello spazio della rappresentazione il contrasto tra vita e finzione, tra desiderio e tremore, tra sogno e carne concreta trova la propria molteplice collocazione. Vita e illusione, erranza e différance della vita, nella vita, nella scrittura-corpo, nel corpo a corpo che la scrittura di Verri ingaggia con l’esistere». Bucherer l’orologiaio, l’ultima opera di Verri, pubblicata postuma nel 1995, è uno strabiliante congegno verbale attraverso il quale l’autore rivendica la sovrana libertà di una scrittura che danza vertiginosamente sul baratro dell’insignificanza. Se il romanzo è, com’è stato detto, il testamento di Verri, o il suo epitaffio, il messaggio che vi si legge lascia sgomenti: la letteratura è azzardo, e chi la pratica deve essere disposto a giocare la sua partita fino in fondo, pur sapendo di perdere. Perché il sogno di Bucherer, e dello stesso Verri, il progetto di trascrivere il mondo dentro un libro è semplicemente impossibile; ma il suo incanto risiede proprio nel ludico martirio dell’invenzione continua.  Scrive Rossano Astremo nel suo contributo al libro: «L’idea stessa di costruire mondi possibili che siano contenitori di parole rende chiaro il fatto che non ci troviamo dinanzi ad una storia in cui l’intreccio viaggia lungo i binari di una linearità evidente. Siamo a Zurigo, in un tempo non definito. C’è una voce narrante interna alla storia che alterna il racconto di sue vicende bizzarre che lo vedono protagonista tra le strade della città, accompagnato da personaggi dai nomi suggestivi come Sally, Hallucigenia e Opabinia, ad uno sguardo testimoniale volto a definire le azioni del personaggio che dà nome al romanzo, Bucherer per l’appunto. Questo orologiaio è impegnato nella costruzione di una specie di Arca, nella quale accumulare materiali vari, strani e a volte di difficile classificazione. Nei tentativi sfiniti di Bucherer di creare la sua Arca, delineati dalla voce narrante, si sente forte l’eco dell’autore che, dopo anni nei quali ha avuto una fiducia cieca nel potere della letteratura in quanto strumento grazie al quale poter cambiare davvero il mondo, si lascia andare ad una scrittura meno orientata al significato e più legata al significante». Il Declaro, nell’idea dello stesso Verri, doveva essere un libro di prose in grado di contenere tutte le parole esistenti. Un libro infinito per sua definizione irrealizzabile, ma proprio per questo seducente. La morte dell’autore, sopraggiunta nel maggio del 1993 a causa di un incidente stradale, non consente di sapere in che modo si sarebbe evoluto questo suo progetto..