Nell’immaginario popolare è uno gnomo dispettoso in grado di turbare il sonno e ordire dispetti crudeli. Scazzamurieddhu, laurieddhu, sciacuddhi: sono diversi i nomi con cui lo si identifica. O anche, semplicemente, Uru. Ed è questo il titolo del romanzo d’esordio di Fabio Carbone edito per i tipi di Fernandel. Una creatura misteriosa turba il sonno di Paolo, gettandolo nell’angoscia. La sente muoversi lungo il perimetro della stanza, picchiettando il pavimento con le sue unghie ricurve. Finché una notte, svegliandosi con la sensazione di soffocare, nella penombra della camera distingue le sembianze di una grossa bestia accovacciata sul suo petto, intenta a scrutarlo. L’incontro dura pochi istanti, prima che la creatura con un balzo si dissolva nel buio lasciando Paolo nello sgomento. Nel frattempo una morte inspiegabile, forse un omicidio, scuote il call center dove lavora, già in subbuglio perché in procinto di essere delocalizzato. La polizia indaga senza esito, mentre tutto sfugge in una realtà rarefatta, sospesa fra l’inquietudine e l’allucinazione. Sullo sfondo di un Salento fatto di campagne abbandonate e invase dai rifiuti, Fabio Carbone mette in scena il contrasto fra un mondo nuovo, governato dal cinismo e dalla mancanza di empatia, e la morente società contadina, di cui solo un’eco lontana lambisce la contemporaneità. Nel mezzo, sospeso tra il mondo vecchio e quello nuovo, c’è l’uru, creatura già presente nelle credenze di molte civiltà contadine. Manifestazione dei timori più reconditi e delle colpe mai espiate, di quegli impulsi più arcaici da cui la modernità si illude di essersi emancipata, essi prendono la forma dell’animale, una creatura fatta della stessa carne di chi ne subisce i tormenti. Dal romanzo: «La notte lo sentì di nuovo. Si muoveva furtivamente lungo il perimetro della stanza, picchiettando il pavimento con le unghie che, lunghe e ricurve, sporgevano dalle zampe. Perlomeno, questo parve di sentire a Paolo che, con la testa stretta al cuscino madido di sudore, si sforzava di capire se quei passi fossero reali o frutto di un’insana suggestione, che lo avrebbe privato, un’altra volta ancora, del riposo. Il corpo, istintivamente irrigidito da quella presenza senza forma, si era contratto in posizione fetale, trincerato fra le lenzuola in una tenue quanto illusoria difesa da un agguato che sarebbe potuto giungere dal buio. Paolo non apriva gli occhi, forse per concedere ancora qualche istante alla speranza che ci fosse solo lui in camera, che se avesse atteso ancora, quei piccoli passi, quei ticchettii sulle mattonelle, sarebbero cessati senza turbare ulteriormente il suo sonno. Passarono pochi secondi, forse qualche minuto, nella stanza non si udiva più alcunché. Paolo avvertì pian piano svanire quell’oppressiva sensazione di allerta, e anche i muscoli si distesero a cercare quiete. Passò però molto tempo prima che si riaddormentasse, in quel giaciglio umido, increspato dai periodici movimenti tentacolari delle sue membra alla ricerca della posizione ideale, la sola in grado di conciliargli il sonno». Fabio Carbone è nato nel 1986 e vive a Guagnano. Laureato in giornalismo, è un analista di contenuti radiotelevisivi. Tra il 2016 e il 2020 ha diretto la casa editrice Ofelia, da lui fondata, curando la pubblicazione di testi di narrativa di autori italiani, esordienti e non.