L’Italia è una Repubblica fondata sull’equivoco di parole captate male, trascritte ed interpretate peggio. Alessandro Barbano, direttore de Il riformista ne parla ampiamente e con dovizia di dettagli nel suo nuovo libro La gogna. Hotel Champagne, la notte della Giustizia italiana (Marsilio), una serrata indagine sulla più clamorosa violazione del segreto istruttorio che rimette in discussione le versioni ufficiali sul caso Palamara, apre piste mai battute, racconta la ragnatela investigativa che soffoca il sistema della Giustizia italiana. Il tutto, sullo sfondo delle intercettazioni e la distruzione di tante vite e reputazioni. Attraverso documenti, testimonianze e indizi inediti, l’autore torna sulla «scena del delitto», la hall dell’hotel Champagne dove, secondo la versione ufficiale, nella notte fra l’8 e il 9 maggio 2019, un gruppo di politici e magistrati congiurava per mettere le mani sulla Procura di Roma. Un’indagine li ha smascherati e un rigoroso processo li ha espulsi.
Il libro sarà presentato venerdì 1° marzo 2024 alle ore 19 nel Museo provinciale «Sigismondo Castromediano» di Lecce. Ad aprire la serata saranno i saluti del direttore del Museo Luigi De Luca, introduce Daniela Rollo e poi il dialogo tra l’autore e Alessandro Distante, avvocato e giornalista.
Barbano, dopo L’inganno torna con La gogna. Possiamo parlare di una naturale consecuzione tra i due libri?
«Sì, è una conseguenza, perché come L’inganno questo libro vuole dimostrare a che cosa approda una giustizia che utilizza mezzi eccezionali in maniera spregiudicata, e quindi nell’intento di produrre giustizia in realtà finisce per creare condizioni di ingiustizia, ossia l’esatto contrario.
In questo caso lei esamina il caso Palamara
«È un racconto dello scandalo più grande che ha investito la magistratura italiana, cioè lo scandalo del Csm, quello che nella versione ufficiale si racconta come quella congiura che alcuni magistrati e alcuni politici capeggiati da Palamara avrebbero ordito per mettere le mani sulla Procura di Roma facendo nominare un magistrato addomesticabile. In realtà questo racconto non sta in piedi, perché dietro la congiura c’è una lotta di potere tra due cordate ugualmente interessate a mettere le mani sulla Procura di Roma e che si fanno la guerra attraverso l’uso di intercettazioni, talvolta indebitamente autorizzate e diffuse in corso d’opera quando gli indagati sono ancora intercettati. In realtà, attraverso questa guerra, vinta da chi detiene le intercettazioni, si realizza un cambio di potere ai vertici della magistratura italiana, perché la Procura di Roma e i vertici della Cassazione vedono nuovamente il ritorno di quella sinistra giudiziaria che era stata scalzata dalle elezioni del Csm e che invece, attraverso l’uso di un’indagine giudiziaria abnorme ritorna al potere.
Qual è dunque il punto centrale del Suo libro?
«Voglio dimostrare che cosa si può fare in una democrazia attraverso l’uso spregiudicato di questo strumento che si chiama trojan, un captatore informatico che ha altre conseguenze per la libertà e la democrazia. Questo strumento è utilizzato in questa inchiesta per due ipotesi di reato inesistenti per le quali l’indagato chiave, Palamara, non sarà neanche portato a giudizio e quindi nemmeno condannato. Non c’era pertanto il presupposto per utilizzare il trojan che invece serve per sorvegliare e poi ribaltare la maggioranza di un organo di rilevanza costituzionale come il Csm».
Giuseppe Pascali