Ultimo, imperdibile appuntamento con l’arte contemporanea per SENSO PLURIMO la rassegna curata da Marinilde Giannandrea giornalista, critica e docente presso il Liceo Artistico di Lecce.

Si inaugura venerdì 16 aprile alle ore 18.30 (e sarà visitabile fino a mercoledì 5 maggio) De-tour to Ararat (ingresso libero) mostra-installazione di Carlo Michele Schirinzi, artista e video maker salentino.
All’inaugurazione interverranno Francesca De Filippi curatrice e critica d'arte, Stefano Urkuma De Santis musicista e l’artista Romano Sambati.

E in occasione del vernissage, sarà presentato il catalogo della Rassegna Senso Plurimo che raccoglie testi e immagini delle mostre ospitate nel foyer dei Cantieri Koreja, all’interno del box progettato da Rune Ricciarelli.

De-tour to Ararat racconta la collisione tra un Occidente ricco e respingente e un altrove povero e invadente in un paesaggio di mare che risuona di sbarchi clandestini, di naufragi ignorati e che evoca i grandi temi del diluvio, dell’esilio e dell’approdo.
Carlo Michele Schirinzi dichiara apertamente il proprio essere dalla parte ferita dell’umanità e decide di modificare la natura espositiva del box, in un oscuro spazio emotivo, uno spazio che costringe lo spettatore a fare i conti con la propria e individuale responsabilità.
Nell’istallazione il vedere e il sentire si sovrappongono: i frame del mare si accompagnano ad un suono ancestrale che si riempie dell’adattamento sonoro de Il ventre cavo dell’Arca di Stefano Urkuma De Santis, giovane musicista contemporaneo, compagno di viaggio di Schirinzi. Alle percezioni sinestetiche del rumore delle onde che s’infrangono contro l’arca-container, che nel suo “ventre” ospita i profughi fuggiaschi, si accostano le suggestioni visive di squarci luminosi di mare, alternati da attimi di buio totale che provengono da offuscati oblò.

Il video di Carlo Michele Schirinzi, attraverso gli sprazzi percettivi, le intuizioni sensoriali, gli abbinamenti sinestetici che amplificano le sensazioni visive e sonore, narra il viaggio compiuto dall’emigrante clandestino prima di approdare a nuovi lidi.
Sono profughi di “geografie” vicine o lontane, sono superstiti smarriti, naufraghi visivi che vivono travagli reconditi, chiusi nell’intimità dell’anima.
L’artista scandaglia l’intensa realtà interiore del naufrago approfondendone il sentimento con un linguaggio intenso, forte e multiforme, per il quale si avvale di una sintassi complessa le cui espressività mirano ad un preciso senso interpretativo.
Attraverso il video si compie una riflessione sulla condizione dell’uomo in fuga, sul dolore umano che nella sua essenzialità rivela la sua universalità ed assume una dimensione meta-storica e un valore cosmico. In quest’ottica, le visioni e le sonorità colte nel buio di uno spazio chiuso rivelano con il loro alfabeto minimale la sofferenza del profugo, senza orpelli e retorica. Nel video, l’immagine, il suono e l’oscurità sottolineano la condizione dell’esule sradicato dalla sua terra che vive l’esilio fisico e soprattutto l’esilio interiore.








Protagonista della proiezione è il profugo in cerca del monte “Ararat”, ma lo è pure lo spettatore che nel buio del box-container percepisce l’atmosfera tetra e oppressiva, il panico e la cupa desolazione vissuta da clandestino in balia delle onde nere nel “ventre” di una nave la cui rotta naviga verso un destino spesso infausto.

“Le forme hanno vita propria - indovinò Focillon - abusate dall’artista che le ha rese immagini, inutili e dannose: operare sul morire e sulla cancellazione equivale a chiudere gli occhi come diritto di critica alla galoppante globalizzazione, ai catastrofici tentativi di omogeneità ed alle urgenze, ancor più gravi, di nuove identità… il tutto in un continuo cedere al gioco e ‘sputtanarsi’ in prima persona” (Carlo Michele Schirinzi).


“[…]All’origine c’è probabilmente lo spazio della Torre dell’Olocausto del Museo Ebraico di Berlino in cui Daniel Libeskind rievoca la sensazione di chiusura e prigionia dei campi di sterminio, ora il micro-spazio di Senso Plurimo diventa un container, la stiva claustrofobica di un nave dalla quale s’intravede la minaccia drammatica del mare capace di evocare il dolore silenzioso di quell’umanità la cui tragedia ogni giorno si consuma nel Mediterraneo.
Schirinzi, salentino del profondo, è portatore di una cultura artistica complessa, sostenuta da passioni tenaci come quella per Carmelo Bene e quella dichiarata per Romano Sambati, suo maestro ai tempi del Liceo, al quale lo lega la ricerca sulla sostanza poetica del paesaggio naturale ed umano. Le sue opere fotografiche e suoi video, prodotti con metodi e mezzi artigianali, sono sempre dotati di una stupefacente e scarna essenzialità capaci anche per questo di esercitare un ipnotico choc visivo, di evocare nel caos moralizzante delle immagini che agevolano la rimozione del dolore, il peso e il segno di una ferita aperta. Un testimone del proprio tempo e della propria terra della quale vive profondamente l’intreccio di culture e la drammaticità afasica del presente”
Marinilde Giannandrea




Carlo Michele Schirinzi (Acquarica del Capo, LE, 1974)
È  artista e videomaker. Attualmente è impegnato nel suo primo lungometraggio, I resti di Bisanzio, e nei documentari relativi alla rassegna Intramoenia Extrart, curata da A. Bonito  Oliva, G. Caroppo e R. Meucci Reale.  Ha partecipato a numerose mostre di arte contemporanea tra cui: Quadriennale Anteprima, Napoli 2003; G.A.P., Bari 2004 (1° premio); Tangenziale Sud, Bari 2009; Premio San Fedele, Milano 2009. La sua produzione video si è segnalata in numerose rassegne dedicate alla sperimentazione del linguaggio digitale: 21° Torino Film Festival 2003 (Menzione speciale); 40ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di  Pesaro 2004 e 2005 (1°Premio Shortvillage e retrospettiva). Nel 2007 il Taranto Film Festival ha ospitato la sua produzione e nel 2009 Sonderbehandlung ha vinto il 1° Premio al Festival del Cinema Europeo,  Lecce.

Senso Plurimo parte dall’idea che l’arte contemporanea contenga una promessa di pluralità che ci affranchi dagli inganni di chi dirige il nostro immaginario visivo e il nostro pensiero estetico in una direzione unica e univoca. Gli artisti in mostra non appartengono a un gruppo omogeneo ma esprimono visioni molteplici, sono un insieme apparentemente dissonante che segnala il cambio di paradigma culturale in atto e offre l’occasione per analizzare territori di pensiero che si ramificano in topografie articolate delle quali non conosciamo gli sviluppi.