«Tutti noi desidereremmo un amico, una persona che ci dica in faccia quel che pensa di noi: quell'idiota che lo fa ci riesce il più antipatico di tutti» (di anonimo). Pilato “non” docet. Già, Pilato non insegna; da quando l'esecrato nei secoli prefetto romano consegnò, di fatto, lavandosene le mani, ai sadducei, ebrei aristocratici, quel Gesù che egli avrebbe potuto salvare se soltanto si fosse preso le sue responsabilità. E invece per opportunismo e/o pavidità abdicò alle proprie prerogative «istituzionali». Da lui l'aggettivo «pilatesco», «sei un Pilato», «lavarsene le mani», locuzione non propriamente riconducibile all'igiene. Ebbene chiediamoci se e quante volte, fatte le dovute proporzioni, siamo stati anche noi eponimi di Ponzio, per pusillanimità, comodo o semplicemente pigrizia. Prendiamo un'amicizia ternaria, ovvero animata da tre persone, come ve ne sono e funzionano. Succede, però, che uno dei componenti riceve un grave torto, una nequizia, da un altro di quel trio. Quello rimasto, che non c'entra, riceve le ragioni di chi quel torto ha subìto ed è chiamato a prendere posizione, sì, deve dire la sua esplicitamente e, se del caso, redarguire aspramente lo scorretto. Invece, tutto quello che sa dire è: «Sì, tu hai ragione ma a me non ha fatto niente». Come dire le mie terga non sono coinvolte, quindi non mi chiamare in causa, veditela tu e il mese di marzo. L'amicizia, se non complicità è solidarietà, protezione etica, se gliele si tolgono è destinata alla compromissione. Non liquefatevi quando c'è da esprimere un parere dirimente e onesto. Se disinteressato potrebbe ottenere effetti salvifici. Uno degli aforismi più centrati su quel che può essere (anche) la cattiveria, la definisce come quella che ammazza la speranza. E noi non vogliamo essere cattivi ammazzando la speranza. Succede, tuttavia, che ad un amico/a è venuto l'uzzolo di darsi alla pittura, per un po' è sparito/a dai nostri radar per darsi ad una forsennata produzione di croste più o meno inguardabili. E a te che sei amico, magari anche con qualche competenza pittorica, chiede un giudizio perché vuole pure fare una mostra, lui l'aveva chiamata vernissage, a cui ti chiederà di presenziare e recensire. Tu hai una reputazione e non vuoi perdere la tua credibilità indulgendo ed elogiando le sopraddette croste, che fai? Non vuoi neanche passare nel novero dei cattivi che ammazzano la speranza. Fai come ha fatto un illustre ermeneuta della nostra Università (si trattava di un libro ma l'analogia con l'estemporaneo pittore si può fare) a cui ho chiesto: «Professore, come ha potuto...?» (presentare quel libro ndr). Arrossire è arrossito il prof. ma ha pure aggiunto: «Non bisogna scoraggiare in questi casi». E si è dileguato lasciandomi attonito, senza neppure il tempo di dirgli, con greve metafora: «Il medico pietoso fa le piaghe verminose». Nel mio caso al pittore ho suggerito la via dell'astrattismo, non ne uscirà un Pollok ma in quell'àmbito la dissimulazione dell'imbrattatéle è più agevole.
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- Giuseppe Pascali
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