
L’intellettuale cavallinese ha ricostruito nelle 250 pagine del volume, impreziosito da un elegante copertina rossa con al centro un cuore, simbolo della trama del romanzo, il contesto storico e geografico attraverso dialoghi eccellenti caratterizzati da un lessico variegato e aulico, mediante descrizioni brillanti ricche di metafore, tramite frequenti latinismi e inevitabili seppur rare espressioni dialettali. Nel riportare i minuziosi dettagli della romantica storia d’amore tra don Francesco Castromediano Sanseverino e Beatrice Acquaviva d’Aragona, Giuseppe Pascali ha dimostrato tutto l’affetto che nutre verso il suo paese ed è piacevole pensarlo affacciato alla finestra del suo studio, posto al centro fra il castello dei Castromediano e il Convento dei domenicani, dove chissà quante volte avrà immaginato le scene che ha poi raccontato nel libro: un romanzo in grado di far riscoprire il senso patriottico fra i cavallinesi e di suscitare curiosità fra i lettori che si accingeranno a leggere il libro recentemente stampato.
La lettura de “Il sigillo del marchese” è un susseguirsi di emozioni suscitate dalle vicende narrate egregiamente: è il 31 luglio del 1637 quando nel castello dei Castromediano di Caballino, Beatrice Acquaviva d’Aragona, chiamata donna Bice dai popolani in segno d’affetto, gemeva morente nel suo letto. Prima di andare in sposa a don Francesco Castromediano, Beatrice fu educanda nel monastero di San Marcellino a Napoli, in seguito da sposa di Dio divenne moglie di uomo aitante come il marchese che fu capitano nell’esercito del re Filippo IV di Spagna. Il loro fu un amore profondo suggellato il 25 luglio del 1627 in un matrimonio celebrato da monsignor Francesco Vincenzo Martinelli, vescovo di Conversano. Dalla loro unione nacquero Aurelia, Domenico Ascanio, Tommaso, Giannantonio, Giambattista, Antonia, Porzia, Benedetta e Geronimo. La gioia delle molteplici gravidanze nell’arco di dieci anni di vita coniugale indebolirono però la salute della giovane e bella Beatrice che lasciava i suoi amati figli e i devoti sudditi alla sola età di 28 anni.
Commoventi sono le scene che descrivono l’impotenza del dottor Giovanni Abregal, medico chirurgo napoletano, quando comunica al marchese la gravità dello stato in cui verte la giovane donna in seguito all’ultimo parto e l’abbandono di don Francesco in un lungo e silenzioso pianto una volta scoperto il triste epilogo che attende la compagna tanto amata. Il dispiacere è diffuso fra il popolo e la servitù tra cui il paggio Cordulo, figlio di una domestica, che era al servizio dei Castromediano da quando aveva 12 anni, Annita, la levatrice, e Matilde, la balia, che si rivelerà presto un personaggio chiave nella vicenda in cui compaiono gli antagonisti come Ferrando, il bandito, al servizio del diabolico don Pietro Altomonte.
Un ruolo fondamentale è poi riservato a padre Bonaventura che si prodiga a tal punto da chiedere a Monsignor Scipione I Spina di anticipare la solenne celebrazione della festa patronale di San Domenico affinchè Beatrice potesse parteciparvi per l’ultima volta. Malgrado la malattia “Il viso della nobildonna” scrive l’autore “era bianco come neve ma conservava una bellezza inusitata. Sembrava che Dio, attraverso quell’angelica creatura, volesse lanciare una sfida alla morte conservando fino all’ultimo respiro la dolcezza dei suoi lineamenti”. I riferimenti alla divina provvidenza, alla religione cristiana e alla fede assoluta in Dio ritornano spesso nei trenta capitoli del libro e riaffiorano anche in una frase tratta dal Vangelo di Luca, intorno alla quale ruota la vicenda: “Dov’è il vostro tesoro là è anche il vostro cuore”.
Intrisa di pathos, la lettura sembra accompagnarci in un viaggio nel tempo e si ha l’impressione di ritrovarsi in quel lontano 1637 dove fra le sale del palazzo ducale si percepiva soprattutto la nobiltà d’animo dei feudatari che tanto lustro e onore hanno dato al paese in un periodo che raggiunse il massimo della completezza costituzionale e organizzativa.
Ed è così che noi vogliamo ricordare la storia di Francesco e Beatrice, nello splendore dell’elegante galleria del Palazzo ducale, dove il 5 giugno dinanzi a una platea di persone accorse ad assistere alla presentazione de “Il sigillo del marchese”. Il pubblico circondato dalle grandi statue e dagli affreschi della volta a crociera decorata con i simboli dello zodiaco, accompagnato dalle musiche barocche, ha potuto rivivere lo scintillio di un’epoca storica senza precedenti per il feudo di Cavallino e oggi, a distanza di secoli, grazie alla destrezza stilistica di Giuseppe Pascali possiamo rievocare quello splendore attraverso le pagine di un libro formidabile.
di Paola Bisconti