Un misto di tradizione, devozione e folclore è la festività, che si prepara da adesso fino febbraio inoltrato. Tutto il Salento si prepara a festeggiare la cosiddetta focara, quella più famosa è la solennità della lingua di Sant’Antonio da Padova, protettore di tanti paesi del Salento, si accenderà la focara, un grande falò molto alto, la sua altezza parte da almeno dodici metri in su, costruito con migliaia di fascine di legna, di solito si realizzano poi degli stand gastronomici accompagnati da musica popolare.

In realtà questa avvenimento sposa due tradizioni ben distinte: la festa della lingua di Sant’Antonio da Padova e il “falò di Sant’Antonio abate”.

Fu, infatti, nel 1263, a trent’anni dalla sua morte, che in occasione della traslazione delle sue spoglie dalla chiesa di prima sepoltura alla basilica, il ministro generale dei francescani, padre Buonaventura da Bagnoregio, si accorse, che l’unica parte del corpo di Sant’Antonio da Padova rimasta intatta, era proprio la lingua del santo.

Si racconta, invece, che Sant’Antonio abate, detto anche “sant’Antuono” nell’Italia meridionale per distinguerlo dal santo taumaturgo, sia sceso negli inferi per contendere al demonio le anime dei peccatori. Da qui ne deriva la tradizione di accendere “focarazzi”, “ceppi”, “foracelo “falò”, che hanno una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnano il passaggio dall’inverno alla primavera. Le ceneri venivano raccolte nei bracieri casalinghi per riscaldare le abitazioni o, secondo altre fonti, si dividevano in tanti piccoli sacchetti da portare in tasca come amuleti guaritori.

Altro simbolo della tradizione legata alla focara è il maiale, incarnazione del demonio e perciò simbolo d’impurità. Nell’iconografia popolare è rappresentato  con un campanello al collo e trascinato da Sant’Antonio abate,  che divenne, per questo, protettore degli animali. Il consumo della carne di maiale era ed è ancora un modo per “onorare” il santo. E’ ancora vivo il ricordo di tanti salentini che nutrivano il maiale del paese, il cosiddetto “porcu de Sant’Antoni”, che girovagava per le vie dei paesi, nutrendosi di quello che tutti lasciavano per lui sull’uscio.

di Maria De Giovanni