Across the universe. Sono 9 brani che compongono l'album della band salentina Touchmeandshout. Across the universe, che prende il nome dal leggendario brano dei Beatles, è un astronave. È il mezzo idoneo ad un viaggio fra le stelle. Nelle oscurità dell'universo. Quello dello spazio. E quello della musica. Perché ci porta in luoghi diversi allo stesso tempo. Un po' rock, un po' new wave, elettronico in maniera spaziale. Il brano numero 5, Nasty, che ci spiattella addosso un intro da pezzo rap stravolto infarcito dall'elettronica come le protuberanze della vita di oggi. È globale. La forza necessaria - che non tradisce la grandezza del nome - per aderire al mondo in una maniera tutta propria, in una maniera che striscia nello stridere dell'aria con le percezioni dell'ascolto. L'attitudine di fondo è quella di un rock stridulo, acido, della chitarra che sibila e graffia e taglia. Fende l'aria. Il tempo. Il ricordo che affiora è quello di un Ian Curtis dovutamente citato fra i ringraziamenti sul retrocopertina dell'album. E sono nomi importanti quelli che si porta appresso. You're no like me, brano numero 7, spezza il procedere elettrockwave dei suoi 3 minuti e 30 richiamando a sé, nei pochi secondi del ritornello, in maniera sussultoria un suono diretto e scarno di quella new wave degli albori con ancora, prepotenti, le tracce del punk degli anni '70. La matrice dark del disco si modella sulle note rock della chitarra scalando le vibrazioni della voce, trovando esplicazione diretta sulle vie disegnate da basso e synth. Estrapolando all'evolversi della musica l'ansia claustrofobica tipica dell'oggi, nelle incertezze che la musica assale e sconvolge. Stravolge. I primi tre brani, Wake up; Run; Good bye; prendono a sassate la vita in un ritmo vorticoso che è la chiave incessante del disco. La forza. E la necessità. Quella di una musica che è ascoltata, ma si riversa nella parte opposta per essere lei ascoltatore catturando a sé gli istanti della società in evoluzione. È un viaggio da compiere ad occhi chiusi e l'unica via necessaria e consapevole è quella del perdersi. Apostrofarsi fra la musica dei brani, come rintocchi senza voce catapultati attraverso l'universo fra le vie dell'introspezione addormentate sibilate fra le strade del mondo.
Francesco Aprile
Francesco Aprile