
‘Niente, più niente al mondo’ di Massimo Carlotto è quasi un racconto etnografico:
non c’è detective, non c’è indagine se non quella dello stesso autore e di chi legge;
c’è però un contesto, ossia la Torino post-operaia in cerca di un’altra identità.
C’è un delitto e c’è una voce, soprattutto, che nel finale viene raddoppiata dalle pagine di un diario.
La voce è quella di una donna di 45 anni, domestica a ore.
Racconta in prima persona la propria quotidianità, sempre uguale da anni e anni di matrimonio.
Descrive la geografia del suo mondo attraverso i fantasiosi e allettanti nomi dei discount alimentari.
Analizza con lucida e spietata consapevolezza la grigia fissità dell’esistenza di cui è vittima.
Ripone le proprie speranze di riscatto nell’unica figlia.
E’ bellina, la ragazza; potrebbe sfondare in televisione o nel cinema, se si cominciasse a muovere nella giusta direzione e desse retta alla madre.
Ma lei non è interessata a questo genere di vita, ha scelto di lavorare come pony express e di indossare jeans, maglioni sformati, scarpe da ginnastica. un affronto.
E un terrore, il terrore di vedere la propria vecchiaia avanzare senz a nessuna sicurezza.
La madre – la nostra 45enne – è ormai infiacchita dal tentativo quotidiano di far quadrare i conti.
Soldi non ce ne sono mai stati tanti. sicuramente troppo pochi rispetto a quelli delle famiglie della ‘Torino bene’ presso cui, settimana dopo settimana, va a lavorare.
Troppo pochi rispetto alle vite incapsulate nello schermo televisivo.
Troppo pochi perfino per andare in vacanza.
La tragedia potrebbe essere evitata se la voce di questa donna trovasse ascolto, se i suoi pensieri non rimanessero ancorati ai modelli consumistici e se da qualche parte riuscisse a riconoscere un po’ d’amore, ma è molto difficile guardarsi dall’esterno, ancora di più se non si hanno gli strumenti adatti. Carlotto ci presenta i nostri poveri.
Non c’è più grazia nella loro esistenza, e l’eco del mondo contadino è troppo debole per riuscire a formarne l’identità.
‘Niente, più niente al mondo’ – citazione da ‘Il cielo in una stanza’ - già dal titolo fa professione di nichilismo:
non c’è affetto, non c’è tolleranza, non c’è speranza, non c’è lo stato, non c’è più vita.
Una denuncia che potrebbe sembrare anacronistica a quelli che abbracciano l’ipocrisia di un’Italia ormai definitivamente votata al benessere, ma qualcuno ancora vive così, e il giallo sta tutto nel decidere se queste persone siano veramente colpevoli dei crimini che compiono.