Nonostante una serie di fattori controversi, il Lecce rientra da Verona con una posizione in graduatoria ancora di salvezza.
Infortuni, defezioni, scelte di formazioni discutibili e rendimenti precari, seppure per una neopromossa, non intaccano sostanzialmente quel fatidico, sperato quartultimo posto, dal chiaro significato vincente.
L'assillo logorante riguarda invece il dubbio prospettico riferito al tempo che riusciremo a conservare tale privilegio, considerando l'andatura da "lumaca ferita" fatta registrare dal Lecce da sette turni a questa parte.
Vista con quest'ottica, la sconfitta di Verona per 3-0, pur con profonda amarezza, assume il valore importante di un piccolo sollievo per un'altra gara in meno che ci separa dal traguardo finale.
In termini generali non c'è quindi da drammatizzare, nella consapevolezza che altre squadre, pure di prestigio, fanno peggio di noi, ma con l'impegno categorico di porre fine a questa sequela di risultati negativi.
La prestazione soggettiva, per tanti aspetti penosa, rivela comunque un andazzo preoccupante causato dalle solite problematiche tecnico tattiche ed agonistiche a cui non si riesce proprio a mettere un freno.
Il modulo iniziale, più guardingo e raccolto, non ha impedito alla difesa di incassare due gol in fotocopia su palloni alti, uno a seguito di un corner battuto a spiovere e trasformato in gol da Dawidowicz, indisturbato da Babacar e Deiola, l'altro da Pessina, mentre Donati e Mancosu erano in pausa di marcatura.
Azioni sviluppate sempre e solo da sinistra, dove Lazovic dilagava indisturbato da Deiola e Rispoli, con Liverani che restava impassibile, preso dai suoi pensieri sui terzi e quinti calciatori che dovevano scalare nelle marcature. Nel frattempo, Lapadula, decantato quale resuscitato in casa Lecce, non perdeva tempo per sciupare un'occasione d'oro, tirando sul petto di un avversario dopo aver superato anche Silvestri, guardiano opposto.
Fuori Lucioni, per una volta spaesato, dentro Majer, Mancosu riportato in avanti, conseguente cambio modulo, ma effetti maggiormente deprimenti, anche se Lapadula ripeteva un erroraccio sotto porta e lo stesso Majer coglieva una traversa con tiro dalla distanza.
L'abulia successiva all'insegna di un disimpegno collettivo nutrito di fiacca e sterile reazione psicologica e di gioco, riproponeva i giallorossi in formato passivo che aspettavano solo il fischio conclusivo del match. Non prima di aver subito il terzo gol su penalty e l'espulsione di Dell'Orco.
Fine delle sofferenze domenicali improntate ad un cauto ottimismo segnato dalla fede incrollabile di una tifoseria incredibile e dai calcoli logici per un'inversione di tendenza che Liverani stenta terribilmente a provocare.