Sere fa ero a cena con amici e persone appena conosciute: seppur le dinamiche discorsive cambino a seconda del numero degli avventori, bisogna parlare, fors'anche parlarsi, perché il pasto, da solo, non basta a favorire l'aggregazione. E allora...: via la politica perché divisiva e si rischia l'esecrato discorso da bar (nessuno vuole intossicarsi la serata), via lo stucchevole soffermarsi sulla bontà di certi piatti e dove meglio li fanno, la retorica alimentaristica o pretenziosamente gourmet è una scorciatoia dialogica abusata e non tutti gli astanti mostrano di volerne fare il filone della serata, via la pretesa di parlare, ciascuno, dei propri figli come fossero dei geni; intanto perché c'è chi, giustamente, se ne impipa degli attributi filiali, può non avere progenie da esibire o semplicemente non averne del tutto e niente irrita di più dell'apologia dei propri rampolli. I più non se ne avvedono e, aggravando la situazione, tirano fuori smartphone pregni di immagini miracolistiche da mostrare a chi, per educazione (o ipocrisia), deve concedere, all'improvvida visione, il wow di circostanza. Ostentare cultura è un'arma a doppio taglio: intanto non è nota l'omogeneità, in tal senso, dei convenuti, poi non è detto che interessi quel preciso ambito; il fatto che uno sia edotto in uno specifico campo dello scibile non lo autorizza a sciorinare le proprie conoscenze (non richieste) adombrando altri che, per esempio, potrebbe essere depositario di talenti più umili ma non per questo indegni di interesse. Mirabile una sera la discettazione su uno strumento costruito in proprio per fare velocemente, e bene, le "ulie cazzate" (olive schiacciate) a profusione. Un argomento, invero "trasversale", è quello animalista, non parliamo di vegani contro consumatori di parenchima animale che merita un discorso a sé, fin troppo esteso a tutti i salotti per le polemiche che ingenera, bensì della detenzione, nel senso del possesso e cura di animali. Cani e gatti in primis. Anche qui, l'esibizione fotografica dei summenzionati animali (ma non mancava il curatore di un rettilario domestico), dipanava gran parte dei giga disponibili; a farmi inorridire era la candida ammissione della condivisione del letto, anche nottetempo, anche tra le coltri, dei villosi mammiferi e i baci a contatto di bocca. E poi la contrapposizione gatto-cane su chi merita la palma della benevolenza perché più interessante. Tutti a raccontare episodi che avrebbero fatto impallidire i classici con Rin-tin-tin e Lassie. E qui gli estimatori dei cani avevano buon gioco ad ergersi, rispetto ai gattisti, non avendo pari filmografia se non nell'animazione. "Perché non si fanno soggiogare dagli umani, restano indipendenti", la tesi esplicativa. Tutti concordavano nell'affermare che gli animali ci amano incondizionatamente, che sono migliori degli uomini, e quindi più meritevoli. A suffragio di ciò negavano la non esistenza, per essi, dell'anima allitterandola con animale e citavano il "Ponte dell'Arcobaleno", luogo alle soglie del Paradiso dove le bestie si situano al pari di uomini e donne; per loro nessun Inferno è previsto dacché agiscono per natura (sic) e mai per malvagità; nessuna specie (ri-sic). È a questo punto che ho lanciato una provocazione prendendo in prestito l'assunto di innumerevoli etologi, gli animali se potessero ci ucciderebbero tutti, senza remore e senza rimpianti. Qui tutti addosso: "Non è vero!". E qui mi sono fermato, di fondata c'è la celebre frase di Mark Twain: L'uomo è l'unico animale che arrossisce, ma è l'unico ad averne bisogno.