In un rigurgito nostalgico che potrebbe tramutarsi in un conàto, da un po' mi sono messo sulle tracce di amici d'infanzia perdutisi nel dipanarsi degli anni, per ragioni note e ignote, ma forse emendabili in quel lavacro costituito dal tempo che è passato e che passa. Dei compagni delle scuole elementari, quindi parlo di bambini, di molti ricordavo, graditi o meno, gli elementi che più li caratterizzavano: c'era quello che già manifestava attenzione al danaro, per quel poco che se ne poteva disporre; quello che non suggeriva, mai, a primeggiare doveva essere lui; il meschinello che faceva la spia, accusandoti di una marachella, che però poteva essere anche un’empietà, a dispetto dell'età i pargoli possono commettere pure efferatezze; e poi il silente osservatore; il logorroico già egolatra. Ma anche, non voglio dire, gli altruisti, i generosi, i buoni. Insomma la varia umanità che pur in fieri si rivela. Ebbene, nel ritrovarli, questi datati compagni detenevano, pressoché immutati, quei «talenti» a loro consustanziali fin fino all'età adulta, come lo scoprivo? Beh, al bar per il caffè di rito, il taccagno ha dribblato la cassa, con deliziosa nonchalance, altro che competizione su chi dovesse pagare! Mi sono chiesto se tutti quei mancati pagamenti lo avessero reso ricco. Non credo. Quello che non suggeriva ha ostentato il proprio decorso professionale, enfatizzandolo oltremisura, facendo spallucce alla narrazione del mio. Quello che faceva la spia non si è astenuto dal propalare notizie riferite ai compagni che, per quanto non commendevoli, misericordia avrebbe voluto che rimanessero taciute. Insomma, di là dai trascorsi, dalle esperienze, dai moniti della vita ho dedotto che non c'è apprendimento, formazione, educazione che ci cambi, restiamo tali e quali inchiavardati con quell'imprinting che azzarderei essere perinatale. Alla luce di quanto illustrato, anzi nel suo buio, mi chiedo se pedagogie, psicologie, analisi, modelli formativi, cursus vitae non debbano segnare il passo e costringerci alla resa. Prendiamo la psicanalisi, che intanto presuppone la volontà di sottoporsi ad una indagine ctonia nell'auspicato desiderio di correggere ciò che procura disagio, afflizione, difficoltà, non di rado pregiudizievoli a relazionarci con noi stessi e con gli altri. Sedute annose, costose, defatturate (il de è quello privativo) in cospicue percentuali dove l'assistito diventa dipendente dal suo interlocutore. Conosco diverse persone dedite alla pratica, ne avessi mai vista una migliorare e/o migliorarsi. Pare non esserci scampo. Rivolgersi allo psicanalista è illusorio come andare dal chirurgo estetico, dalla psiche al soma il passo è breve, il risultato placebo. E allora: possiamo dire che se i nostri comportamenti esulano da noi non dovremmo essere, per questi, biasimati o puniti perché essi appartengono alla nostra irredimibile natura, come lo scorpione di Esopo. Lo vorremmo noi! A soccorrerci nel frenare devianze perniciose al convivere civile esistono due dottrine, quella religiosa, per chi crede, alimentata dal timor di Dio, che in virtù e in forza della punizione divina morigera (dovrebbe, d'accordo) morigerare le turpitudini. Per questo, pur ateo, credo nella funzione sociale se non spirituale della religo. Almeno in certi àmbiti. È per questo che «crocetto» sul 730 l'8 x mille alla Chiesa cattolica. Ma per chi non ci crede...? O pur credendoci falla lo stesso? Laicamente interviene la giurisprudenza con il suo diritto fatto dagli uomini per gli uomini. Ce la dobbiamo tenere cara cara, con tutta la sua perfezionabilità. Per fortuna (o per sfortuna) non c'è più un saggio re Salomone a dirimere le contese per le vie brevi, c'è «solo» un collegio giudicante per la disamina delle colpe e un avvocato delegato a fartela fare franca anche quando non sei (esattamente) scevro da reità. Così funziona.