Se ti do, in dono, una pietanza, un dolce, o quello che sia, acquistata o laboriosamente autoprodotta non devo stare a dire: «Fammi sapere com'è!», carichi, seppur non gravoso, di impegno il destinatario e impreziosisci (troppo) il gesto; genuino, per carità. Ma, guai al fruitore del regalo se non ti dirà cosa ne ha tratto, nell'assaggio. Non ci saranno repliche e l'amicizia ne verrà un po' adontata. Siatene certi! Il silenzio potrà sottendere «non mi è piaciuto e taccio», ma quel silenzio non sarà pietoso, piuttosto incuria, mancato riconoscimento, superficialità; una garbata ma particolareggiata «recensione», seppur non necessariamente apologetica dell'esperienza sarà comunque apprezzata da chi si è speso per noi. Se poi vorremo, come si dovrebbe, contraccambiare, si darà modo di rendere ugual pariglia e tutto sarà sistemato. Ci vuol poco. Ho avuto un guaio, piccolo o grosso, sanitario o d'altro genere: all'amico che mi ha chiesto come sto, questa volta, non gli ho detto il «bene» di circostanza, bensì «così così», perché volevo un orecchio compiacente per la mia esigenza di sfogarmi. Ebbene, se l'amico si accontenta del mio «così così» e non va oltre, vada a farsi fottere pure lui per non aver raccolto. Se però, che bravo, chiede «cos'è successo?» sarà bene che si appropinqui all'ascolto con la dovuta attenzione e con tanto di sopracciglia corrugate perché, per me, la questione è dolente. Tuttavia già dalla prima esplicazione l'amico reputa che non è così grave (anche perché non ha voglia) e contrappone un «è successo pure a me», oppure «devi vedere io». In questo modo abbattendo ogni tuo sbotto derubricandolo a nenia lamentosa. Non si fa. L'amicizia implica pazienza, anche, poi sta a noi non essere adusi a considerare l'altro una sorta di pattumiera dove riversare i nostri dissapori. Non si fa neanche questo. M'invitano a pranzo, porto una confezione regalo di riso pregiato, nella fattispecie l'Acquerello, un ananas premium costato un botto e un Ferrari d'annata. Il riso, chi mi ha invitato potrà farselo in seguito, ma dovrà farmi sapere come gli è parso rispetto a quelli d'uso comune. L'ananas è impiccioso a sbucciare, ma io so farlo bene e, con la sufficiente confidenza che ho, gli propongo di pulirlo io, così a fine pasto ce lo troviamo bell'e pronto. Per il Ferrari gli suggerisco di metterlo subito in frigo dando per scontato che lo aprirà. Ebbene, anzi è male: l'offerta di apertura dell'ananas non ha ricevuto risposta e per frutta ci è toccato un cesto di mandarini che a gennaio hanno quel sapore di... andato. Il Ferrari non fu messo in frigo, men che meno aperto, come libagione, in luogo di quello, alcuni campioncini mignon di improbabili marche, pure diverse. Non accetterò più un invito a pranzo, da costoro, né vorrò mai contraccambiare. Al più vorrei essere la vindice cicogna dell'apologo di Esopo La Volpe e la Cicogna sì da potermi vendicare (trovatela è gustosa e a quella vi rimando). Dell'Acquerello non mi ha mai fatto sapere nulla. A cena ci assiepiamo intorno al tavolo prenotato, tovaglia fresca di bucato e tovaglioli di pari olezzo con tanto di trittico di posate poggiate. Chi mi sarà accanto poggia occhiali, chiavi e smartphone su quella tovaglia e vìola col contatto tovagliolo e posate. Sono in tanti a far così. Ignavo più che ignaro del ricettacolo batteriologico costituito da quegli oggetti. Confido nel mio sistema immunitario che faccia il suo dovere, non sono nosofobico. Ma per le prossime volte quel commensale lo vorrò agli antipodi del mio tavolo. Semmai ci sarà una prossima volta. Altro invito a cena, sei amici, chi invita vuole farci provare la pasta con le sarde, afferma di farle bene. Avverto la mia compagna su cosa faremo quella sera, lei ha il compito di andare in pasticceria per acquistare i dolci di rito e di consultarsi con l'altra coppia per evitare doppioni. È presto per la cena ma l'invitante mi chiama, dice di non aver trovato la base ittica richiesta, sì insomma le sarde fresche, gli vado in soccorso e lo porto dal mio fornitore di pesce. In genere una garanzia. Non ha le sarde ma ha delle guizzanti alici che vanno bene lo stesso. Un chilo basterà, gli darò una mano a pulirle, si tratta di asportare testa, interiora e deliscarle al centro, andrà via una mezz'oretta, anche meno se lo facciamo entrambi. Prima di mettere mano al portafoglio mi dice: «dividiamo», cioè vuole 10 dei 20 euro! Penso che scherzi, ma no! Fa davvero! Gli dico lascia stare e pago io i miserabili venti. Che razza di invito è!? Gli ho portato pure 25 euro di mignon. Non siamo più studenti senza né arte né parte con le tasche vuote. Possiamo permetterci più di uno sfizio. Ma lui mi ha chiesto i 10 euro della metà delle alici. Ecco un'amicizia destinata a svaporare.