God was completely deaf (Mantra Records). Era il 1989. Erano gli Allison Run. Sedici brani sul finire degli anni '80. Sedici pezzi controcorrente che solcano la pelle del corpo per accomodarsi, in modo del tutto fuori dalla norma, nel luogo dell'ascolto. Sussultano. E fuori dal coro si muovono. Dicevo. Sedici brani che seguono direttamente, nella distanza di due anni, All those cats in the kitchen (Mantra, 1987), primo ep degli Allison Run, che fu disco dell'anno per Rockerilla, quando ancora erano forti gli strascichi postpunk/new wave e già si affacciavano ancor più forti al mondo musicale i generi che saranno, per certi versi, padroni degli anni '90 o di una buona prima parte di essi. Grunge e Crossover. L'alternative sarebbe arrivato da lì a poco. Il suono che si assottiglia nel tempo. Mentre gli anni '60 non c'erano più, la musica era come la puntina di un giradischi che segnava la pelle. A macinare ricordi. E sollevare. All'angolo di una memoria, fotografie sbiadite su scale di grigi dai contorni strappati. Incendiati.
Il contesto, dunque, completamente estraneo. E questo disco che diventava, e diventa ancora, capolavoro assoluto per la musica italiana. Erano Amerigo Verardi (artista salentino poi con progetti personali quali Lotus, Lula ed attualmente impegnato in un nuovo progetto assieme al chitarrista Marco Ancona che ha portato alla registrazione di un bootleg dal titolo “Oliando la macchina tour 2009”), Umberto Palazzo (poi con Massimo Volume e Santo Niente), Alessandro Saviozzi, Mimo Rash.
Ma c'è un suono che non si rassegna. Nasconde. Cela. Fra melodie tipiche della psichedelia anni '60/'70 targata Barrett, The Soft Boys, 13th Floor Elevators, si celano i versi e riverberi che avrebbero segnato, in buona parte, il background musicale di Amerigo Verardi e Umberto Palazzo (per quest’ultimo basti pensare alle commistioni punk/no wave/rap/new wave del demo dei Massimo Volume ed alla ciclicità elettrica e disarmante introdotta, poi, ne Il Santo Niente). Così, accanto ai nomi prima citati ed agli inossidabili Beatles, spuntano commistioni tipiche degli anni '80 che strizzano l'occhio a Smiths e Cure. "As we grope" ha lo stimato clamore, che è un continuo vivere nello stupore, proprio dei Television Personalities. Così si apre. Poi, ancora, cede il passo ad incursioni psichedeliche tipiche dei migliori Beatles frammentate da fraseggi psichedelico/strumentali di Barrettiana memoria. E ancora, mentre "The red moon" si muove sulle orme del Berrett di "Baby Lemonade", sulla scia di uno spiritato comporre, qualcosa si adagia, sedimenta nell'ascoltatore. Percorrendo il ritmo punklullaby - che va da intendersi sulla scia di un punk privo della rabbia rivoluzionaria degli anni '70, mitigato dai suoni meno forti e meno acuti degli anni '80, nel corso di un minuto e cinquantotto secondi spensierati dalle chitarre dal gusto affettato in stile Smiths - di "I'd like to walk with somebody" mentre "Tangle of Love" ci trasporta nell'universo Stones anch'esso letto e assimilato in chiave newpsychedelic dagli Allison Run. L'album prosegue sempre più intraprendendo le strade della miglior psichedelia anglo-americana che giunta in Italia viene riletta all'ombra del Bel Paese assumendo connotazioni a tratti ironiche (Zia Lilly) che trasportano l'ascoltatore in un luogo dilatato come di un mondo in continua trasformazione, da plasmare al suono british delle percezioni.


Francesco Aprile