di Lino Baldi - In principio fu lo spazzino, quintessenza del lavoro umile, a beneficiare (si fa per dire) dell'evoluzione semantica che lo portò a diventare il netta urbe, ovvero il netturbino sino all'operatore ecologico che fa pensare ad un laureato breve ma con specialistica in vista. Tempo al tempo. In realtà quando il maestro delle scuole elementari, quello nuovo o che gli succedeva, in dispregio del diritto alla privacy (allora inesistente) chiedeva ai pargoli il mestiere paterno (della mamma niente, era casalinga si sapeva), il figlio dello spazzino era il più sfigato. Oggi grazie alla rinnovata nomenclatura non è così; potenza degli eufemismi! Il figlio del falegname era il più inviso perché a lui il maestro avrebbe chiesto di portare un paio di verghe utili a somministrare le cosiddette spalmate sul palmo della mano dei più turbolenti. Ma questo ricordo sulle punizioni fisiche degli anni 60 in età scolare sarà più ampiamente descritto in altro racconto. Restiamo alle edulcorazioni della realtà: l'handicappato, ovvero il portatore di anomalie fisiche, morfologiche e/o mentali, anche per colpa dei sani che proferivano il sostantivo a guisa di insulto, diventò disabile, col “di” privativo che non risolveva il problema, tant'è che col tempo diventò diversamente abile, pietosa bugia se si pensa alle menomazioni che precludono ogni alternativa attitudinale. Ma non siamo più nella Sparta dove il legislatore Licurgo decretò l'abbandono degli affetti da menomazioni sul monte Taigeto; dovremmo, dobbiamo, per questi meno fortunati adottare tutte le misure legislative e strutturali per rendere la loro vita più accettabile. Ho detto "meno fortunati", l'avrete notato, questa locuzione è un'altra di quelle espressioni mitigatrici della condizione umana, laddove, se i sani sono fortunati e beati ad esserci, i non sani, al più, sono meno fortunati ma comunque tali, che diamine! In àmbito mortifero poi, le mitigazioni dell'evento mortis si sprecano, il morto “non è più tra noi”, “è venuto a mancare”, è “salito al padre”, anche qui la... convocazione è sempre di tipo patriarcale, la Madonna è donna e si occupa d'altro. Come siamo bravi noi umani ad indorarci la pillola. Quando fu mio padre a... “passare a miglior vita”, sì, me l'ero dimenticata quest'altra locuzione attenuatrice del nefasto evento, il referente della ditta delle pompe funebri mi chiese cosa scrivere sul manifesto da affiggere in nuncio mortis. Sì, quelli dove il de cuius è sempre un “padre esemplare”, un “lavoratore indefesso”, un “fulgido esempio di moralità”, addirittura un “N. H.”, opportuno abbreviativo del latino Nobilis Homo, nobiluomo, che per esteso pare davvero esagerato. E come vedete dall'eufemismo all'enfasi il passo è breve. Ma torniamo al mio babbo e alla richiesta del testo, fuor dalle retoriche locutive sopra menzionate partii secco a dettare: “E' morto...”. Ma fui subito bloccato dal becchino; lo so, l'accezione è anch'essa stata oggetto di rivisitazione eufemistica perché considerata dispregiativa, ma siccome la spuntò lui, in quell'occasione, lascio detto becchino. E mi vendico. Mi disse che “è morto” non si scrive mai e piuttosto avrebbe rinunciato alla commessa perché la loro era una ditta seria! Insomma sul “è morto” esplicitato, per quanto lo riguardava, la questione era addirittura deontologica. Fu così che il mio povero babbo non morì ma assurse tra i cieli.